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Cari cantanti, con la scusa dei revival non state più inventando (quasi) niente

Che cos'è la musica pop, se non un continuo dialogo tra passato e presente , tra innovazione e tradizione?  Ci sta, lo capisco bene. Epp...

Che cos'è la musica pop, se non un continuo dialogo tra passato e presente, tra innovazione e tradizione? 

Ci sta, lo capisco bene. Eppure, nel panorama musicale italiano di quest'ultimo anno, sembra prevalere l'antico detto: "Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma".

Basta accendere la radio, navigare su Spotify, o partecipare a un concerto per constatare come il fenomeno del revival sia diventato una costante nel panorama pop della musica italiana dell'estate. Non c'è nulla di male nel ricordare il passato (figuratevi, io la musica del passato la amo). Il passato è necessario per comprendere da dove veniamo. E magari per raccontarlo alla Gen Z, anche attraverso la collaborazione con i suoi beniamini.

Ma quando il gusto del revival prende il sopravvento sull'innovazione, Houston, forse abbiamo un problema.

Canzoni che richiamano le hit Italiane degli anni ‘60-‘80, collaborazioni dichiaratamente da balera con cantanti snobbati fino a poco più dell’altroieri (o già "utilizzati" per operazioni palesemente commerciali), arrangiamenti che si ispirano a Baglioni e Battisti e con tripudi d'archi alla Baudo (che però sono sacri, e per questo vanno lasciati al loro posto): sono solo alcuni esempi del revivalismo che oggi imperversa nella nostra musica. 


Facciamo un po' di nomi


Una volta a farlo c'erano solo gli Audio 2 e Anonimo Italiano. Aveva un senso. Era una novità, era bello, lo facevano solo loro o quasi, e ci bastava. Oggi sembra che tantissimi artisti italiani producano brani estivi nutrendosi della nostalgia del pubblico per il passato. Nei testi, negli arrangiamenti, nei giri d'accordi. Con un solo, piccolo, problema: dagli anni '80 sono passati più di quarant'anni.

Il ritorno di Paola e Chiara in pieno stile anni '90, l'arrangiamento e il giro di accordi di Fedez / Annalisa / Articolo 31 in Disco Paradise, fino all'ultima collaborazione tra Orietta Berti e Fabio Rovazzi (davvero, ce n'era bisogno?). E poi ancora l'ultimo singolo di Ariete, che a me tanto ricorda il mondo dei Ricchi e Poveri: in tutti questi esempi, la musica italiana si riflette nel passato. 

Certo, un gusto per il rétro che può essere piacevole, ma che se diventa l'unica opzione disponibile, rischia di farci perdere il senso dell'innovazione e della creatività.

Tralascio e salvo due fenomeni che del revivalismo hanno fatto la loro cifra stilistica da anni, e prima degli altri: i The Kolors e Tommaso Paradiso. A loro, in questo senso, il riconoscimento di essere stati precursori di una moda che quest'anno per molti altri artisti è andata invece totalmente fuori controllo.

Certo, potremmo dire che il revival è una tendenza che ha le sue radici in un desiderio di sicurezza e di familiarità. E che sembra ancora più funzionale dopo la pandemia (tanto che è un fenomeno esploso proprio dopo la pandemia). Ma che rischia di diventarlo solo per la generazione che quella sicurezza e quella familiarità degli anni '80 l'hanno vissuta per davvero. 

Tagliando fuori invece tutto quel segmento di pubblico che al massimo quella conoscenza musicale l'ha rimediata su YouTube a posteriori, e che oggi la liquida con un banale quanto semplicistico "ah sì, la musica di mamma e papà".


Il revival come via d'uscita ai nostri tempi d'incertezza


Ci sta: in tempi di incertezza, ci rifugiamo in ciò che conosciamo. Ma sinceramente credo anche che la musica sia anche scoperta, esplorazione, sfida: è il terreno su cui l'artista può sperimentare e creare. E che l'ascoltatore può scoprire. Insomma, se il passato diventa un punto di arrivo, anziché un punto di partenza, stiamo perdendo di vista il vero senso di fare musica.

Perciò, cari cantanti, cari autori, un invito a riflettere: il successo immediato di una canzone che richiama le hit del passato è senz'altro gratificante, ma è anche una rinuncia. La musica che resta, quella che attraversa i decenni, è quella che ha saputo inventare, che ha osato suonare diversa.

Non basta indossare i giri d'accordi e gli arrangiamenti del passato per fare musica che resta: è necessario ritrovare la capacità di esprimere una propria visione del mondo e di sperimentare.


La musica di oggi non si ispira agli anni '80. È essa stessa musica anni '80

 

Per portare fino in fondo il ragionamento, dobbiamo ammetterlo: la musica italiana pop di oggi, in molti casi, non si ispira più agli anni '80: la musica italiana pop di oggi È la musica degli anni '80. E se non vogliamo che il futuro della nostra musica sia un eterno ritorno al passato, dobbiamo imparare a guardare avanti, a inventare, a creare. Non è un compito facile, ma è l'unico modo per far sì che la creatività continui a evolvere.

E a non farsi sorprendere dall'intelligenza artificiale, che è dietro l'angolo. E che a quanto pare, se la mettiamo sulla capacità di rielaborazione di successi del passato, vi batte tutti in cinque minuti. Con potenzialità molto più creative di qualsiasi tentativo commerciale di rimescolare ingredienti del passato.

Cari cantanti e autori da vertice classifica, ancora una volta il futuro della musica italiana è nelle vostre mani. Non abbiate paura di sperimentare, di innovare, di comporre in modo differente. Perché il vostro obiettivo non sia quello di un revival oggi, ma quello di meritare che tra quarant'anni ci sia qualcun altro a trasformare in revival la vostra creatività di oggi.

Affinché non finiate per essere semplici comprimari da hit della storia della musica italiana. 

Perché ogni tanto, lo ammetto, ho davvero questa sensazione.

Patrick Facciolo