Si conclude così, con un cartoncino scritto a pennarello, la 73esima edizione del Festival di Sanremo. La mia tredicesima in presenza come g...
"L'italia si è fermata", ha appena detto il direttore di Rai 1 Stefano Coletta in conferenza stampa. "Non sappiamo bene perché, sappiamo che è accaduto".
Ecco, io un'ipotesi sul perché sia accaduto ce l'ho.
Il Festival di Sanremo, come già scrivevo qualche giorno fa, è un trigger positivo, un attivatore, legato per molti di noi alla nostra infanzia. Sanremo è casa, è famiglia, è nonni, per chi ha avuto la fortuna di vivere questa esperienza unificante durante i propri anni più belli. E ogni volta che Sanremo torna ci riporta lì, ci riattiva il senso di protezione che dovrebbe essere tipico di quegli anni.
Con la vittoria di Marco Mengoni riportiamo a casa anche una canzone unificante, perché siamo stati (quasi) tutti d'accordo nel dire che sì, quello che ha vinto è davvero un bel pezzo. Che merita di rappresentarci degnamente all'Eurovision di Liverpool, nel Regno Unito.
Una vittoria che non è solo di Marco Mengoni, ma è anche di Amadeus, di Gianni Morandi, delle co-conduttrici del Festival, di Fiorello, che sono riusciti a "riavviare" per davvero la macchina del Festival dopo tre anni difficili.
In conclusione, torno all'inizio: finisce un evento televisivo monumentale, con scenografie che ci hanno invidiato anche dall'estero, e che per converso si consuma sul finale con un cartoncino scritto a pennarello.
È in questo enorme contrasto che si sostanzia il Festival.
La sua monumentalità e il cartoncino sono una metafora del modo italiano di vivere la vita: capace di grandi cose (un Festival estremamente strutturato, con un'enorme immagine coordinata alle spalle), e allo stesso tempo con un pizzico di approccio naïf alle cose (il cartoncino scritto a mano col nome del vincitore).
È anche questo che ci rende unici nel mondo.
Ed è anche per questo, che fino all'anno prossimo, tutti insieme ci mancheremo.
Patrick Facciolo